Duilio Avezzù
“nobili e dolenti Persone”
A ogni mostra fotografica di Duilio Avezzù, quando osservo le sue foto in bianco e nero, provo l’impressione (netta e straniante) di camminare lungo un corridoio alle cui pareti siano appesi degli ex voto provenienti da un mondo lontano e ormai dissolto: quello della civiltà contadina del Polesine.
Una civiltà ritratta da Duilio con lo sguardo partecipe e solidale che a lui deriva – forse inconsciamente – dalla grande lezione del Realismo italiano.
Intendo dire che Avezzù, al pari ad esempio di Pepi Merisio (che molto gli assomiglia), non fotografa i suoi contadini e pescatori del Delta del Po per ricamare un “lamento” sulla scomparsa di tali persone, bensì per testimoniare semplicemente - ma fermamente - un modo di vita più serio e più vero rispetto a quello attuale.
Non ho mai notato perciò alcuna traccia di tentazione retorica in tali fotografie che, in virtù della loro “naturale” drammaticità, respingono qualsiasi approccio meramente decorativo, e tantomeno astrattamente letterario.
C’è insomma in Duilio Avezzù una tale fedeltà alle proprie radici esistenziali (che sono in primis contadine, e poi operaie) da rendergli impossibile far passare per “personaggi” le sue nobili e dolenti Persone, le quali appartengono a un mondo che per lui, evidentemente, non è ancora passato.
Ne consegue che anche il paesaggio del Polesine, con i suoi fiumi, canali, campi e casolari abbandonati, non è mai quello scontato tipico della bella cartolina illustrata, bensì si avverte in esso una vero e proprio “respiro” esistenziale e spirituale.
Come se un soffio di vento, leggero ma persistente, animasse quei solitari “luoghi dell’anima” del Polesine, facendo volteggiare sopra di essi le ultime “falive” di quel grande falò in cui si è dissolta la civiltà contadina italiana.
Gennaio 2016 | Francesco Permunian |
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