Márta Czene (Budapest 1982)
Senza rivelare i segreti
E'molto affascinante il percorso proposto dalla giovanissima artista ungherese che prende spunto dalla passione e quindi dall'uso dei grandi media della contemporaneità, i quali possono contare, da un lato sulla diffusione di un retaggio culturale della pittura e della letteratura d'immenso valore, dall'altro sull'attualità di nuovi strumenti come la fotografia, il video e il cinema, ascesi prepotentemente sulla scena dell'arte negli ultimi decenni.
La pittura figurativa è per Márta indispensabile: Il realismo è importante per me; ci sono delle narrazioni nei miei dipinti: l'obiettivo è essere esattamente capita per quello che esprime. Per esempio Umberto Eco ne “Il nome della rosa”: c'è un filo di tensione nel racconto, bisogna cogliere la tensione senza rivelare i segreti...
La tecnica dei piani sequenza che si materializza nella scelta di immagini primarie, per esempio un ritratto, accostato ad elementi ambientali, come può essere un paesaggio, oppure oggetti d’uso comune, privi di una ragionevole associazione con il soggetto principale, tende ad accendere nell’osservatore una curiosità che si trasforma presto in ansia quando la relazione diventa inspiegabile.
Nella sequenza Digressione, 2010, nel primo dipinto è rappresentato un interno con tavolo e oggetti casalinghi; nell’immagine centrale, più grande, una doppia rampa di scale. Tutto nel silenzio e nel vuoto di un’attesa che non sarà appagata dalla terza parte del dipinto che contiene un ritratto femminile. La combinazione delle immagini mi serve per fare una narrazione impressionante. Uso il cinema, per esempio, perchè apre un punto di vista.
Questa dichiarazione dell’artista è illuminante e molto appropriata all'atmosfera metafisica che pervade la sua ricerca, al ricordo di un grande maestro del cinema come Michelangelo Antonioni, nato a Ferrara nel 1912, che del senso di sospensione, di alienazione e incomunicabilità ha fatto il suo stile espressivo, stile già perfettamente riconoscibile nel cortometraggio che è considerato l'opera d'avvio al neorealismo, “Gente del Po” (1943-1947, progettato nel 1939): racconta la difficile navigazione di una famiglia su un barcone carico di derrate alimentari, lungo il fiume fino al delta.
Anche la strategia della pittrice mette insieme il racconto, come base letteraria, con le scene della composizione, così essenziali e cariche di tensione: tutto risulta concentrato in una tecnica pittorica eccellente per precisione e pulizia. Un realismo freddo e depurato che propone, in pittura, un punto di vista avanzato, adatto alla espressione di problematiche esistenziali. Quindi niente di più diverso dalle istanze di una qualche forma di iperrealismo, soprattutto americano, distaccato e alienante. Risulta evidente che non si tratta di quel genere di ricerca: qui abbiamo una modalità di approccio al reale che è frutto di un'operazione intellettuale composita. Da una realtà impregnata di naturalismo ad una elaborazione concettuale prevalente che coniuga insieme arti diverse come letteratura, cinema, fotografia con istanze di realtà di vita che ci riportano ad una partecipazione autentica con il presente, proprio ad una “cultura del nostro tempo”.
Dal punto di vista tecnico Marta, in virtù della sua notevole e raffinata capacità espressiva, sembra lavorare per sottrazione con una modalità che è vicina all'astrazione. Mentre l'iperrealismo propone una realtà esterna, al massimo grado della sua rappresentazione esplicita, il realismo di Marta sollecita in maniera determinante una riflessione interiore, con gli enigmi e l'angoscia dei piani sequenza che sollecitano uno sforzo di comprensione nella relazione tra le sue parti ponendo, nella pittura, una problematica esistenziale che è propria della letteratura e di certa cinematografia.
Siamo di fronte ad uno stile e a modalità di rappresentazione nuove.
Laura Gavioli
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